Come noto, il Protocollo quadro per le emergenze climatiche è volto ad ampliare le opportunità per la gestione condivisa tra le parti delle fasi emergenziali legate ai cambiamenti climatici (cfr. nostra precedente informativa dello scorso 3 luglio).
A differenza di quanto avvenuto in occasione dell’epidemia da Covid – dove il Protocollo si collocava al di fuori della valutazione dei rischi nella diversa logica precauzionale – in questa ipotesi si resta nell’ambito della valutazione dei rischi, senza aggiungere alcun vincolo per l’impresa.
Lo scopo del Protocollo è, invece, quello di costituire una valida base giuridica per ampliare le opportunità delle parti di gestire, in una logica di sussidiarietà, legata alle specificità categoriali, territoriali o aziendali.
Il Protocollo quadro, da declinare nel merito a cura delle categorie, territorio o aziende, costituisce la base per la concessione della CIG (in prospettiva, esso verrà equiparato alle Ordinanze) e ne semplifica la procedura rispetto al cd evento meteo, apre la strada alla tutela per eventuali ritardi nella consegna dell’opera (a partire dall’ipotesi di esecuzione di opere pubbliche) e, auspicabilmente, costituisce la base per il superamento di procedimenti limitativi delle decisioni delle parti di ridistribuire l’orario di lavoro.
Riportiamo di seguito una nota di approfondimento redatta dal nostro Sistema centrale.
Premessa
Il 2 luglio scorso, Confindustria e le altre rappresentanze datoriali comparativamente più rappresentative hanno condiviso con i sindacati e sottoscritto il Protocollo quadro per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro.
Il documento non intende derogare alle indicazioni di legge (in particolare, l’obbligo di valutazione dei rischi previsto dal Dlgs 81/2008) per cui – a differenza del protocollo Covid – non indica alcuna misura prevenzionale, la cui declinazione è rimessa alla categoria, al territorio o all’azienda secondo il principio di sussidiarietà ed al fine di valorizzare le specificità del tipo di emergenza e delle peculiari esigenze aziendali o settoriali.
Quindi, il Protocollo non introduce né invita ad introdurre nuovi e diversi obblighi o oneri, dal momento che – come detto – si muove all’interno degli obblighi tradizionali del Dlgs 81/2008.
L’unico profilo in qualche modo “stringente” è l’impegno ad attivare dei tavoli in sede di categoria, territorio o azienda, volti a declinare le buone prassi e le misure necessarie e condivise per le realtà specifiche dei diversi settori, delle dimensioni aziendali, dei territori e dei processi industriali e lavorativi.
Un impegno legato all’opportunità (non all’obbligo) di declinare in modo condiviso ed efficace le concrete modalità di gestione dell’emergenza, dal quale non nasce, evidentemente, alcun obbligo di concludere accordi, protocolli o intese, la cui decisione è, evidentemente, rimessa esclusivamente alle parti.
Il Protocollo siglato dalle parti sociali anticipa una iniziativa regolatoria annunciata dal Ministro del lavoro in sede politica, che sarebbe stata adottata laddove non si fosse raggiunto un accordo tra le parti sociali e crea un quadro giuridico, sostenuto dallo stesso Ministero del lavoro, che disegna due percorsi paralleli.
Il primo, sul piano contrattuale, che vede protagoniste – in una logica di sussidiarietà – le parti sociali della categoria e del territorio o le aziende nell’individuare le misure più coerenti con la specifica situazione emergenziale e le peculiari esigenze dei soggetti firmatari dei protocolli attuativi.
Il secondo, sul piano regolatorio, in quanto il Protocollo quadro, che verrà presentato dal Governo alla Conferenza Stato Regioni, fonderà il presupposto generale per la mitigazione del carattere prescrittivo delle Ordinanze contingibili e urgenti mediante il rinvio alle pattuizioni eventualmente adottate sul territorio, nelle categorie o in azienda.
Sul piano giuridico, infatti, il Protocollo non costituisce elemento innovativo.
Tuttavia, esso è destinato a produrre delle conseguenze, anche in una logica di tutela del datore di lavoro, recependo una precisa richiesta di Confindustria.
Le Ordinanze presidenziali regionali, infatti, prendono espressamente in considerazione il percorso di condivisione tra le parti sociali e la conseguente presenza di eventuali protocolli attuativi del Protocollo quadro.
A questo – anche per effetto della presentazione del Protocollo quadro in Conferenza Stato-Regioni da parte del Governo – dovrà conseguire auspicabilmente la sostanziale modifica (esplicita o implicita) delle ordinanze, sia con riferimento agli accordi esistenti sia a quelli futuri, attraverso il recepimento delle previsioni pattizie, in luogo del divieto assoluto, valorizzando le misure di prevenzione contenute negli accordi stessi.
Ulteriore elemento che caratterizza il Protocollo quadro è che esso non si riferisce al solo tema del caldo ma a tutte le ipotesi di emergenze climatiche, valorizzando il ruolo delle parti sociali nello specifico tema della sicurezza sul lavoro.
Esso, inoltre, non è limitato ai settori tradizionalmente interessati dalle ordinanze, ma vale per tutti i settori, in modo da poter gestire qualsiasi profilo emergenziale.
Obiettivo e spunti offerti dal Protocollo
Il Protocollo quadro – e la sua eventuale declinazione in logica di sussidiarietà – ha la finalità di coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative.
Questa possibilità di modulazione concordata tra le parti si pone in una logica diversa sia dalle Linee guida (che declinano nel merito le azioni di porre in essere, sia pure in una logica di volontarietà) sia dalle Ordinanze (che si limitano a prescrivere il divieto di lavoro): essa assegna, infatti, un ruolo decisivo alla condivisione degli interventi tra le parti sociali quali primi e principali attuatori delle norme di salute e sicurezza sul lavoro.
Gli eventuali riferimenti ad aspetti di merito contenuti nel Protocollo quadro vogliono, quindi, costituire semplicemente una possibile direttrice e non un vincolo, dal momento che si muovono totalmente all’interno del tradizionale obbligo di valutazione dei rischi e non aggiungono nulla a quanto già previsto dalla normativa: particolare attenzione viene posta, ad esempio, ai tradizionali strumenti dell’informazione, della formazione, della prevenzione, della corretta attuazione della sorveglianza sanitaria e della valutazione dei rischi.
L’efficacia degli eventuali protocolli attuativi, contratti o intese
Laddove si addivenga alla conclusione di strumenti attuativi del Protocollo quadro, essi costituiranno il naturale riferimento per le imprese, in quanto potranno contenere utili spunti per le azioni di prevenzione su temi essenziali, come la formazione e informazione, la sorveglianza sanitaria, la gestione dei DPI e dell’abbigliamento, la riorganizzazione dei turni e dell’orario di lavoro.
Le Ordinanze contengono tutte un qualche riferimento agli accordi tra le parti, disponendo la sospensione delle attività nelle more delle eventuali intese tra le parti, prevedendo già la possibilità che queste prendano il posto della stessa ordinanza, laddove declinino in modo condiviso le misure contro l’emergenza.
Da quanto risulta, alcune organizzazioni di settore (afferenti all’edilizia e all’agricoltura) hanno già avviato l’attuazione del Protocollo quadro.
Il supporto finanziario dell’Inail
Anche se non pienamente coerente con l’auspicio delle parti stipulanti (che intendevano ottenere l’integrale finanziamento da parte dell’Inail degli interventi prevenzionali emergenziali posti in essere), l’Inail sosterrà l’attuazione del Protocollo ricorrendo a tutti gli strumenti previsti dalle norme, nell’ambito delle somme disponibili a bilancio.
Supporto pubblico
Decisivo sarà, su più versanti, il ruolo del Ministero del lavoro, che – da tempo – ha sollecitato la condivisione del Protocollo.
In primo luogo, l’intervento pubblico dovrà assicurare (a lavoratori e aziende) tutti i necessari interventi di tutela, a partire da quelli legati all’ampio ed automatico ricorso agli ammortizzatori sociali in tutte le ipotesi di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro (anche in caso di lavoro stagionale).
In particolare, il protocollo fa riferimento esplicito allo scomputo dei periodi di cassa integrazione ordinari per evento climatico (evento oggettivamente non evitabile) dal limite massimo di durata della cassa integrazione stessa.
L’Inps ha emanato il messaggio 3 luglio 2025, n. 2130 (cfr. nostra informativa dello scorso 4 luglio) nel quale conferma le tradizionali indicazioni sulla richiesta di CIG per evento meteo o ordine dell’Autorità senza, per ora, assumere una posizione sul tema delle decisioni adottate sulla base del Protocollo.
Il nostro Sistema centrale è intervenuto per far attribuire all’attuazione del Protocollo la stessa efficacia sostanziale dell’ordine dell’Autorità, in caso di sospensione o riduzione dell’orario, in mancanza di Ordinanze.
In secondo luogo, è richiamato l’impegno a supportare il sistema produttivo, in relazione alla necessità di rimodulazione dell’orario di lavoro, nell’orientare i provvedimenti che dovessero condizionarne l’applicazione.
Il riferimento è a tutte le ipotesi di vincolo (si pensi, ad esempio, ai provvedimenti che limitano l’orario di inizio di alcune attività lavorative in una logica antirumore) che contrasta con la eventuale redistribuzione dell’orario di lavoro giornaliero per integrare il lavoro non svolto nelle ore più calde della giornata.
In terzo luogo, il Protocollo evidenzia la necessità di qualificare formalmente le ordinanze e i protocolli attuativi del Protocollo quadro come elementi giustificativi per assicurare alle imprese le tutele contro tutte le eventuali responsabilità. Il riferimento è, anzitutto, alle ipotesi di responsabilità connesse con il ritardo della consegna dei lavori legato all’evento climatico estremo.
Conclusioni
Il netto superamento dell’impostazione delle proposte degli anni precedenti era stato posto dal nostro Sistema centrale quale condizione per la condivisione del Protocollo.
L’esclusione del carattere vincolante, la logica della sussidiarietà ed il necessario supporto pubblico oggi presenti consentono di leggere il Protocollo in una logica ampliativa delle possibilità offerte ai soggetti direttamente interessati nella attuazione e gestione della normativa di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Questo avviene sia valorizzando le esperienze già condotte nelle categorie (ad esempio, in edilizia e agricoltura) sia ponendo le basi per un sempre maggior riconoscimento del ruolo dei diretti interessati in una logica di efficacia, dove la condivisione tra le parti appare destinata a produrre effetti, anche sul piano formale, sulla tradizionale impostazione oppositiva del vigente quadro regolatorio.
L’auspicata equiparazione del Protocollo con l’Ordinanza assume, in questo senso, una particolare rilevanza, in quanto la domanda di CIG non richiede la dimostrazione di alcun profilo scientifico legato all’emergenza.
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