CREDITO: Decreto Legge sulla risoluzione di alcune crisi bancarie
ll Consiglio dei Ministri ha approvato, il 22 novembre 2015, il decreto legge n. 183, recante “Disposizioni urgenti per il settore creditizio” (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.273 del 23 novembre 2015), volto a consentire la tempestiva attivazione delle procedure di soluzione delle crisi di Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, CariChieti.
Si tratta di banche di dimensione piccola o media, che rappresentano l’1% circa del mercato italiano in termini di depositi, che erano in amministrazione straordinaria.
Il provvedimento si inserisce nell’ambito della nuova disciplina di risoluzione delle crisi bancarie di recente introdotta a livello comunitario dalla Direttiva 2014/59/UE (cosiddetta BRRD – Bank Recovery and Resolution Directive), recepita in Italia attraverso i decreti legislativi 180 e 181 del 16 novembre 2015, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 16 novembre 2015 ed entrati in vigore il medesimo giorno.
Per approfondimenti sulla nuova disciplina di risanamento e risoluzione degli enti creditizi – che si inserisce nel più ampio percorso di costruzione dell’Unione Bancaria europea – si rinvia alla news dedicata del 7 dicembre 2015. Il documento descrive, peraltro, il funzionamento del bail-in, che è uno degli strumenti per gestire il salvataggio di banche in crisi e che entrerà in vigore il prossimo 1° gennaio. In particolare, esso consente alle autorità di risoluzione (nel nostro Paese la Banca d’Italia) di disporre la riduzione del valore delle azioni e, in un secondo momento, di alcuni titoli di credito e dei depositi sopra i 100mila euro, o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in crisi.
Il DL 183/2015, entrato in vigore il 23 novembre 2015, è stato emanato in considerazione:
– dei provvedimenti di Banca d’Italia del 22 novembre 2015 di avvio dei piani di risoluzione delle crisi delle banche sopra elencate;
– dei decreti MEF del 22 novembre 2015 di approvazione dei sopra richiamati provvedimenti di Banca d’Italia;
– dell’approvazione della Commissione europea del 22 novembre 2015.
Dunque, ai sensi delle disposizioni sopra richiamate, dal 23 novembre scorso quattro nuove banche-ponte sostituiranno le quattro banche oggetto dell’intervento di risoluzione., attraverso l’iter di seguito indicato.
Per ciascuna delle quattro banche, la parte “buona” del bilancio è stata separata da quella “cattiva”. Alle “banche buone” o “banche-ponte” – che assumono la stessa denominazione delle vecchie banche con l’aggettivo “Nuova” davanti – sono state conferite tutte le attività (a fronte delle quali vi sono i depositi, i conti correnti e le obbligazioni ordinarie) diverse dai prestiti “in sofferenza”, trasferiti a un’unica bad bank: potranno, quindi, operare senza soluzione di continuità con la clientela.
Le banche-ponte vengono ricapitalizzate. Il capitale viene ricostituito, per circa il 9 per cento del totale dell’attivo ponderato per il rischio, dal “Fondo di Risoluzione nazionale”, previsto dalle nuove norme europee e italiane in materia di risoluzione delle crisi bancarie – amministrato dall’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia ed alimentato da tutte le banche italiane con contributi ordinari e straordinari.
Le banche-ponte vengono provvisoriamente gestite, sotto la supervisione dell’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia, da amministratori da questa appositamente designati (in tutti e quattro i casi la carica di Presidente è rivestita da Roberto Nicastro) ed hanno il compito di vendere, con procedure trasparenti e di mercato, la banca buona in tempi brevi e al miglior offerente. I ricavi della vendita saranno retrocessi al Fondo di Risoluzione.
Le quattro banche originarie vengono subito poste in liquidazione coatta amministrativa. Le perdite accumulate nel tempo da queste banche sono state assorbite, in prima battuta, dalle azioni e dalle “obbligazioni subordinate”, strumenti per loro natura anch’esse esposti al rischio d’impresa. Il ricorso alle azioni e alle obbligazioni subordinate per coprire le perdite è espressamente richiesto dalla direttiva BRRD come condizione per la soluzione delle crisi bancarie.
Non è stato quindi attivato il bail-in sui depositi sopra i 100mila euro.
È stata, inoltre, costituita una “banca cattiva” (bad bank), priva di licenza bancaria, in cui sono stati concentrati i prestiti in sofferenza di tutte e quattro le banche originarie che residuano, una volta fatte assorbire le perdite dalle azioni e dalle obbligazioni subordinate e, per la parte eccedente, da un apporto del Fondo di Risoluzione. Il Fondo fornisce alla banca cattiva anche la dotazione di capitale.
I prestiti in sofferenza, svalutati da 8,5 a 1,5 miliardi, saranno venduti a specialisti nel recupero crediti o gestiti direttamente per recuperarli al meglio.
La banca cattiva resterà in vita solo per il tempo necessario a vendere o a realizzare le sofferenze.
Si tratta, dunque, di un intervento specifico legato alla crisi delle 4 banche e non dell’intervento di sistema per affrontare il problema del peso dei non performing loans nei bilanci bancari, che è da tempo allo studio del Governo e che dovrebbe affiancare le misure introdotte a giugno scorso con il DL 83/2015 (DL Fallimento). Tale provvedimento prevede: i) disposizioni per rendere più efficienti le procedure di recupero dei crediti e per facilitare il ricorso a forme negoziali di risoluzione delle crisi d’impresa; ii) deducibilità piena e immediata delle perdite su crediti, al fine di allineare il trattamento fiscale delle svalutazioni su crediti a quello degli altri principali paesi.
Quest’ultima misura – che il Governo italiano, assistito dalla Banca d’Italia, starebbe continuando a discutere con la Commissione europea – sarebbe finalizzata a sbloccare il mercato delle vendite private di prestiti deteriorati, che vanno a rilento, e potrebbe includere la creazione di una società veicolo per l’acquisto e la vendita di crediti in sofferenza e la prestazione di garanzie pubbliche a titolo oneroso sui titoli emessi da tale società veicolo.
L’onere del salvataggio delle quattro banche – posto, in prima battuta, in capo ad azionisti e detentori di obbligazioni subordinate – è prevalentemente a carico del Fondo di Risoluzione e, dunque, del sistema bancario italiano, che è tenuto ad alimentare il Fondo con i suoi contributi, ordinari e straordinari.
Il DL 183/2015 non prevede l’utilizzo di risorse pubbliche per finanziare le banche in risoluzione o il Fondo nazionale di risoluzione.
L’impegno finanziario immediato del Fondo per il salvataggio delle quattro banche è pari in totale, a circa 3,6 miliardi, così suddiviso:
– circa 1,7 miliardi a copertura delle perdite delle banche originarie (recuperabili forse in piccola parte);
– circa 1,8 miliardi per ricapitalizzare le banche buone (recuperabili con la vendita delle stesse);
– circa 140 milioni per dotare la banca cattiva del capitale minimo necessario a operare.
Per quanto concerne i contributi delle banche italiane diretti ad alimentare il Fondo, il DL 183/2015 ha stabilito che, nel 2015, le banche italiane versino, oltre alla prima annualità già prevista entro la fine dell’anno, ulteriori tre annualità di contribuzioni straordinarie. È, inoltre, possibile che cli istituti creditizi italiani, solo per l’anno 2016, versino due ulteriori annualità straordinarie.
La liquidità necessaria al Fondo per iniziare a operare immediatamente è stata anticipata, a tassi di mercato e con scadenza massima di 18 mesi, da Intesa Sanpaolo, Unicredit e UBI Banca.
Il DL 183/2015 contiene alcune disposizioni di natura fiscale. Si tratta, in particolare, di previsioni di portata generale, volte a disciplinare le modalità di applicazione dell’attuale disciplina fiscale in materia di imposte differite attive alle banche oggetto di provvedimenti di risoluzione.
In dettaglio, si prevede che, nel caso in cui siano adottate azioni di risoluzione, la trasformazione in credito di imposta delle attività per imposte anticipate iscritte in bilancio, relative a svalutazioni e perdite su crediti, nonché al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali, decorre dalla data di avvio della risoluzione e opera sulla base della situazione contabile di riferimento dell’ente sottoposto a risoluzione.
Con decorrenza dal periodo di imposta in cui si avvia la risoluzione, inoltre, i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposta anticipate, trasformate in credito di imposta, sono indeducibili.
Infine, per evitare la tassazione delle somme percepite dalle banche-ponte nell’ambito di una procedura di risoluzione, viene precisato che i versamenti effettuati dal Fondo di risoluzione a tali banche non si considerano sopravvenienze attive.
Il piano varato per il salvataggio di Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, CariChieti, assicura – in piena compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato – la continuità operativa delle banche nell’interesse dei territori in cui sono insediate e a salvaguardia dei risparmi di famiglie e imprese detenuti nella forma di depositi, conti correnti e obbligazioni ordinarie.
Inoltre questa soluzione, varata da Governo e Banca d’Italia nell’ambito del quadro normativo delineato a livello comunitario e a seguito del preventivo assenso da parte della Commissione europea, rappresenta un passaggio di rilievo per la nostra economia: definendo – senza oneri per lo Stato e senza attivare il bail-in sui depositi sopra 100mila euro – una vicenda che creava turbolenza, si tutela e rafforza la credibilità e la stabilità del sistema creditizio.