CREDITO: crisi bancarie e “BAIL-IN” – le nuove norme per il risanamento e la risoluzione degli enti creditizi
Con i decreti legislativi 180 e 181 del 16 novembre 2015, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 16 novembre 2015 ed entrati in vigore il medesimo giorno, è stata recepita in Italia la Direttiva 2014/59/UE del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro armonizzato a livello UE di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (c.d. BRRD – Bank Recovery and Resolution Directive), al fine di prevenire e gestire le crisi bancarie attraverso una serie di regole comuni per tutti i paesi europei, evitando così meccanismi nazionali discordanti che amplifichino gli effetti e i costi della crisi.
In particolare, i provvedimenti riguardano:
1. la definizione della disciplina in materia di predisposizione di piani di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi internazionali, poteri e funzioni dell’autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale;
2. la modifica del Testo unico bancario per introdurre la disciplina dei piani di risanamento, del sostegno finanziario infragruppo, delle misure di intervento precoce.
La direttiva BRRD si inserisce nel più ampio percorso di costruzione dell’Unione Bancaria europea, al momento costituita da due componenti. Manca ancora, come in diverse occasioni segnalato da Confindustria, una terza articolazione rappresentata dall’adozione di un “Meccanismo Unico di Garanzia sui depositi”, che superi gli attuali schemi di garanzia nazionali.
La prima componente è rappresentata dal Meccanismo di Vigilanza Unico, divenuto pienamente operativo a novembre 2014 e che assegna alla Banca centrale europea la vigilanza bancaria diretta e indipendente sulle 122 banche dell’Eurozona considerate sistemiche, al fine di migliorare l’integrazione finanziaria attraverso l’identificazione, il monitoraggio e la mitigazione dei fattori di vulnerabilità. Per le banche minori, l’attività di vigilanza è delegata dalla BCE alle Autorità nazionali, che la svolgono sulla base delle regole definite dalla stessa BCE, (quest’ultima può comunque decidere in qualsiasi momento di avocare a sé la supervisione diretta).
La seconda è costituita dal Meccanismo di Risoluzione Unico (Single Resolution Mechanism – SRM), definito dal Regolamento (UE) n. 806/2014. L’SRM – che diverrà pienamente operativo dal 1° gennaio 2016 – è responsabile della gestione accentrata delle crisi bancarie nell’area dell’euro ed è composto da:
i) un Comitato Unico di Risoluzione (Single Resolution Board, SRB), cui partecipano rappresentanti delle autorità di risoluzione nazionali e alcuni membri permanenti, con il compito di individuare i piani di risoluzione e le modalità di gestione delle crisi degli istituti bancari di maggior dimensione e delle banche minori, che necessitano dell’intervento del Fondo di risoluzione unico, di cui si parlerà di seguito;
ii) delle autorità di risoluzione nazionali che, in caso di insolvenza e di gestione nella fase di crisi degli istituti di maggiori dimensioni, hanno a disposizione strumenti di controllo e vigilanza preventivi, nonché di poteri di intervento, al fine di attuare le decisioni dell’SRB; le autorità nazionali di risoluzione mantengono, invece, piena responsabilità sulla gestione delle crisi delle banche minori da svolgere comunque secondo gli orientamenti definiti dal Comitato.
All’SRM si accompagna la costituzione del Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund, SRF), alimentato da contributi versati dalle banche dei paesi partecipanti, la cui funzione primaria è quella di finanziare l’applicazione delle misure di risoluzione – per esempio, attraverso la concessione di prestiti o il rilascio di garanzie – anche riducendo l’ammontare del bail-in di cui più avanti si dirà.
In tale contesto, la BRRD definisce l’insieme di regole, poteri e strumenti che l’SRB e le autorità di risoluzione nazionali potranno utilizzare per pianificare, prevenire e gestire la risoluzione delle crisi bancarie.
In Italia l’autorità di risoluzione è stata individuata nella Banca d’Italia – ruolo attribuito dall’art. 3 del D.Lgs n. 72 del 12 maggio 2015, in occasione del recepimento della Direttiva 2013/36/UE sui requisiti di capitale delle banche (CRD IV) – che ha costituito al proprio interno una struttura indipendente da quelle che si occupano di vigilanza.
Inoltre la BRRD definisce le regole di funzionamento del bail-in, che entreranno in vigore il 1° gennaio 2016.
Il bail-in è uno degli strumenti a disposizione delle autorità di risoluzione per gestire il salvataggio di un istituto bancario in dissesto o a rischio dissesto. Esso consente alle autorità di risoluzione di disporre – in caso ricorrano le condizioni previste – la riduzione del valore delle azioni e, in un secondo momento, di alcuni titoli di credito o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in crisi.
Sono espressamente esclusi dall’ambito di applicazione del bail-in e non possono, quindi, essere svalutati o convertiti in capitale:
- i depositi di importo fino a 100.000 euro;
- le passività garantite, inclusi i covered bonds;
- le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria, come a esempio il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito;
- le passività interbancarie (a esclusione dei rapporti infragruppo), con durata originaria inferiore a 7 giorni;
- le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con durata residua inferiore a 7 giorni;
- i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare.
Il bail-in è applicato alle passività diverse da quelle escluse secondo un ordine ben preciso, che prevede:
- in primo luogo la riduzione o l’azzeramento del valore delle azioni;
- in secondo luogo, l’intervento su alcune categorie di creditori, le cui attività possono essere trasformate in azioni o ridotte nel valore, qualora l’azzeramento del valore delle azioni non risulti sufficiente a coprire le perdite. È il caso, per esempio, di chi possiede un’obbligazione bancaria.
In dettaglio, l’ordine di priorità per il bail-in – che si applica anche agli strumenti già emessi – è il seguente:
i) azionisti,
ii) detentori di altri titoli di capitale,
iii) altri creditori subordinati,
iv) creditori chirografari;
v) imprese e persone fisiche titolari di depositi per l’importo eccedente i 100.000 euro.
In sede di risoluzione interviene inoltre il fondo di garanzia dei depositi, che contribuisce al bail-in al posto dei depositanti protetti.
In circostanze eccezionali, in particolare al fine di tutelare la stabilità finanziaria, le autorità di risoluzione possono, a determinate condizioni, escludere ulteriori passività. Tali ulteriori esclusioni devono essere approvate dalla Commissione europea. Le perdite non assorbite dai creditori esclusi in via discrezionale, possono essere trasferite al Fondo di risoluzione unico, che può intervenire nella misura massima del 5% del totale del passivo, a condizione che sia stato applicato un bail-in minimo pari all’8% delle passività.
Va comunque sottolineato che le nuove disposizioni introdurranno una distinzione tra investitori – tenuti a condividere i rischi delle banche a fronte della più elevata remunerazione degli strumenti detenuti – e i risparmiatori protetti dai rischi. In proposito, si sottolinea che Banca d’Italia ha, in diverse occasioni, messo in evidenza come ciò richieda alle banche di fornire informazioni chiare e complete ai clienti, al fine di accrescerne il grado di consapevolezza circa i rischi connessi, in caso di risoluzione, ai diversi strumenti finanziari acquisiti.
Nel rinviare, per approfondimenti sul bail-in e sulla gestione delle crisi bancarie, al documento di Banca d’Italia “Che cosa cambia nella gestione delle crisi bancarie”, si sottolinea come le nuove norme sul bail-in siano tese a evitare che i bilanci pubblici, dunque i contribuenti, sostengano il costo di salvataggi bancari (bail-out), applicando il principio in base al quale le perdite devono essere innanzitutto poste a carico degli azionisti e di chi ha investito in titoli più rischiosi.
Contrariamente al passato, dove prevaleva il principio del bail-out, nel nuovo meccanismo l’intervento pubblico è previsto soltanto in circostanze straordinarie; in particolare, si potrà attingere a risorse pubbliche solo dopo che i costi della crisi siano stati ripartiti tra gli azionisti e i creditori attraverso l’applicazione di un bail-in almeno pari all’8% del totale delle passività.
Al riguardo, Banca d’Italia ha evidenziato che, con riferimento ai principali 15 gruppi bancari italiani, in oltre la metà dei casi le perdite pari all’8% del passivo potrebbero essere coperte utilizzando unicamente gli strumenti di capitale (azioni, ulteriori titoli di capitale e prestiti subordinati), senza perdite per i detentori di obbligazioni. Inoltre, in nessun caso sarebbero intaccati i depositi superiori a 100.000 euro degli istituti analizzati.
È importante ribadire che il nuovo quadro normativo lascia inalterata la posizione dei creditori protetti (v. passività escluse dal bail-in), mentre per i non protetti si ricorda che anche in precedenza, in caso di liquidazione coatta amministrativa dell’ente creditore, erano tutt’altro che immuni dal supportarne le perdite. Con riferimento a questi ultimi, il nuovo quadro chiarisce invece le modalità con le quali saranno chiamati a intervenire e offre un’ulteriore salvaguardia rappresentata, in particolare, dall’intervento del Fondo di risoluzione unico.
Infatti, come anticipato, questo strumento, avrà l’obiettivo di finanziare l’applicazione delle misure di risoluzione fino ad assorbire perdite al posto dei creditori riducendo l’ammontare del bail-in e sarà costituito con versamenti dalle banche, da effettuarsi nell’arco di 8 anni, a partire dal 2016, fino ad arrivare a una dotazione finanziaria pari all’1% della somma dei depositi garantiti di tutte le istituzioni creditizie dei Paesi che partecipano all’Unione bancaria.
In merito, Confindustria ha posto il problema di un’eccessiva gradualità nella costituzione delle risorse del Fondo e anche della scarsità delle stesse una volta che il sarà a regime. Al riguardo, la Commissione europea sta lavorando per trovare un accordo tra gli Stati membri su due punti:
- la creazione di un meccanismo di finanziamenti “ponte” che intervenga, durante il periodo di 8 anni, in caso di crisi bancarie, qualora le risorse del Fondo non siano ancora adeguate a sostenere eventuali piani di risoluzione;
- l’introduzione, una volta che il sistema sarà a regime, di un “backstop” comune per sostenere eventuali salvataggi, qualora il Fondo non sia sufficientemente capiente (il meccanismo potrebbe ad esempio prevedere l’apertura di una linea di credito da parte del Fondo Salva Stati – ESM).
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